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Tanti auguri, o mio capitano!

  • Marco Innocenti
  • 1 apr 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

Un simbolo di Firenze, come il David di Donatello o il Leone del Marzocco. Ma soprattutto, un simbolo della Fiorentina come... come nessun altro, né prima né dopo di lui. Oggi Giancarlo Antognoni compie 63 anni. Lui che, giovane e promettente 18 enne di Marsciano nell'Umbria, con all'attivo una presenza in amichevole con la maglia del Toro poi accasato all'Asti Ma.Co.Bi., fu fortemente voluto da Liedholm, tanto da costringere l'allora presidente Ugolino Ugolini a sborsare una vera fortuna per quel giovane allora ancora sconosciuto.

E pensare che lui in gioventù era tifoso del Milan, tanto che il babbo gestiva un bar sede di un Milan Club. Ma Firenze e il viola erano dipinti nel destino di questo ragazzo che sembrava sempre avere lo sguardo perso, anche in campo, verso orizzonti lontani che solo lui riusciva a percepire. Il suo esordio in viola avvenne sull'erba dello stadio Bentegodi contro il Verona, con indosso la maglia numero 8, in una gara che la Fiorentina vinse per 2-1. La classe di quel giovane, ai suoi primi passi nel grande calcio, spinse Sandro Ciotti a concludere il proprio intervento per "Tutto il calcio minuto per minuto" con una frase che sarebbe rimasta nella storia come una vera e propria profezia: «Oggi ho visto esordire un campione».

Firenze e i fiorentini adottano subito quel ragazzo dalla classe cristallina, dai modi gentili in campo come fuori al campo ma dall'indole indomabile anche di fronte alle frecce della sfortuna: i gravi infortuni, prima di tutto, ma anche le delusioni sportive, specialmente in Nazionale, come quando fu costretto a saltare la finale contro la Germania a causa di un brutto taglio sul collo del piede, causato da un vigoroso tackle di un difensore polacco in semifinale.

Lo scontro col portiere del Genoa Martina, gli attimi di terrore, quel silenzio agghiacciante che pervade l'allora Comunale di Firenze mentre sui volti dei giocatori delle due squadre si dipinge un'espressione di pura disperazione. Sono i momenti più brutti della storia d'amore fra Antognoni e i fiorentini, salvati dalla tragedia incombente solo dall'intervento del professor Gatto e del mitico "Pallino" Raveggi, il cui gesto liberatorio fa capire che il cuore del capitano ha ripreso a battere. E in quell'attimo tutta Firenze ricomincia a respirare insieme a lui. Poi l'operazione, la lunga degenza, quel ritorno in tribuna accompagnato dall'applauso commovente di tutto lo stadio viola e il finale di campionato da "Meglio secondi che ladri".

E poi arriva l'84, col fallo del blucerchiato Pellegrini che gli causa la frattura scomposta di tibia e perone. Carriera finita, dicono in tanti, e anche in quell'occasione i tifosi sono costretti ad accompagnarne l'uscita dal campo in barella con gli occhi lucidi di chi vorrebbe salutare con un arrivederci ma teme che quel saluto sia un precoce addio. Ma Antonio è ancora una volta più forte, più tenace, più caparbio.

Ma, insieme a queste pagine tristi come per pochi altri calciatori, Antognoni e la Fiorentina hanno anche scritto pagine d'amore, magari non di trionfi e di vittorie, ma d'amore purissimo sì. Come quello che lui mostra rispondendo "No, grazie" al presidente della Roma Beppe Viola che, nel 1980, lo invitò a cena per convincerlo a trasferirsi in giallorosso, di nuovo alla corte di Liedholm. Ma l'amore di una città intera, a volte, quando parla il cuore, vale anche più di un magnifico attico in Piazza di Spagna e dei prevedibili mugugni iniziali di una moglie romana. E Firenze lo ricambia con un amore incondizionato, che fa di questo 1° aprile un giorno più vicino ad una festa nazionale che ad un compleanno.

Auguri, o mio capitano!


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