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Prandelli: «Che spogliatoio in quegli anni!»

  • Daniele Nordio
  • 16 nov 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

Stamane su Stadio una bella intervista a Cesare Prandelli, mister molto amato a Firenze e passione che lui ricambia per la città. Gli anni con Prandelli furono quelli che riportarono la Fiorentina ad alti livelli, qualificazioni in Champions e partite memorabili, semifinali di Europa League, ma anche cavalcate in campionato capaci di recuperare i -15 punti sanzionati dal processo di Calciopoli.

Nella lunga intervista alcuni temi hanno toccato anche la Fiorentina.

L'anno della penalizzazione.

«Nella stagione 2006/07 partivamo con una penalizzazione di 19 punti che diventarono 15 dopo qualche giornata. Quando vinci un po’ di partite e sei sempre a -11 mentre gli altri sono già a +7, +8, diventa complicato psicologicamente. Allora, per dare morale, avevamo messo nello spogliatoio le due classifiche, quella virtuale e quella reale e ogni tanto dicevo “Signori, ricordatevi che noi siamo qui”. Quando abbiamo poi raggiunto la quota salvezza abbiamo fatto un brindisi, una festa straordinaria. E siamo riusciti addirittura a fare meglio, raggiungendo l’Europa League e mancando la Champions solo per un paio di punti».

Quella Fiorentina, in tutte le componenti, aveva un legame forte, che la portò a raggiungere pur partendo dalla forte penalizzazione un terzo posto virtuale. Non accadeva dagli anni di Trapattoni, Batistuta e Rui Costa.

«C’era una simbiosi unica fra squadra, tifoseria e città, noi non ci siamo mai sentiti soli e siamo riusciti a fare un’impresa, perché è stata una grande impresa. Quando raggiungi quegli obiettivi inaspettati, insperati e particolarmente difficili e impegnativi, è perché hai trovato

un’unione straordinaria con la città e i tifosi. Anche tra di noi, tra i ragazzi e lo staff, si era instaurato un rapporto che andava un po’ al di là dell’aspetto solo professionale e tecnico. Per esempio, ogni settimana Jorgensen dopo l'allenamento ci portava cibo danese, all'inizio ci chiedevamo perché dovessimo mangiare quel tipo di pranzo poi diventò una bella abitudine. Anche in ritiro venivano le famiglie ed erano bei momenti, particolarmente aggreganti. Insomma avevamo trovato una bella empatia e fu un anno storico».


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